La diocesi di Bolzano Bressanone ha nei suoi santi patroni, Cassiano e Vigilio, due illustri esempi di vescovi e di martiri. Inoltre, nel 2003 essa è stata onorata dalla canonizzazione di San Josef Freinademetz, il dinamico missionario verbita, apostolo della Cina. Oggi questa diocesi, benedetta dalla grazia divina, offre alla nostra contemplazione, venerazione e imitazione un altro suo glorioso figlio, il Beato Josef Mayr-Nusser, giovane padre di famiglia, martire della fede durante il periodo buio della dittatura nazista e della seconda guerra mondiale.

Mentre in Europa le tenebre occultavano il sole e milioni di persone innocenti perdevano la vita sterminate dall'odio ideologico e dalla crudeltà di fanatici persecutori, i martiri diventarono le fiaccole di luce nella notte buia del mondo. Essi si mostrarono forti e coraggiosi nel difendere la vera identità dell'essere umano, creato da Dio non per uccidere i suoi simili, come Caino, ma per proteggere, aiutare e amare il prossimo come se stessi. Il Beato Josef Mayr-Nusser mostrò a tutti, amici e nemici, come difendere la propria identità cristiana, seguendo la propria retta coscienza, che non poteva essere forzata a compiere il male. Come discepolo di Cristo, luce vera che illumina il mondo, egli diede con convinzione e generosità la sua coraggiosa testimonianza martiriale al Signore della vita (cf. Gv 1,7-8).

«Grande uomo, cristiano splendido, eroe della verità, confessore della fede». Così parlò di lui il suo amico e assistente dell'Azione Cattolica, Don Josef Ferrari, durante la Messa celebrata alla notizia della morte.[1] E Papa Francesco nella sua lettera apostolica lo esalta come «laico, padre di famiglia, martire, che, fedele alle promesse battesimali, riconobbe solo Cristo come suo Signore, del quale fu testimone fino all'offerta della sua vita».

Le testimonianze sul viaggio finale, che fu un vero inferno, mostrano le inaudite sofferenze di Josef, la sua fortezza d’animo e la sua gentilezza. I prigionieri rimasero chiusi nel carro merci per vari giorni senza acqua né cibo, in condizioni igieniche spaventose. A Erlangen il grave logoramento di Josef, non curata dai medici, si aggravò fino a portarlo alla tomba. Una giovane guardia delle SS testimonia che, nonostante tutto, Josef non pronunciò mai parole di mormorazione o di lamento, continuando a ringraziare con Vergelt's Gott coloro che cercavano in qualche modo di aiutarlo. Nella lettera indirizzata alla signora Mayr, questa guardia così continua: «Il mattino presto Josef rese l'anima a Dio. I suoi compagni prigionieri ci raccontarono che, tranne qualche cucchiaiata di minestra, aveva ceduto il cibo a quelli di loro che erano più affamati. Quando poi fra i suoi pochi oggetti personali si trovò un Nuovo Testamento, un messalino e una corona del rosario mi resi conto che un simile cristiano certamente non poteva aver tradito i suoi compagni. Egli morì per Cristo, di ciò ora ne sono sicuro, 34 anni dopo la sua morte. Cara signora Mayr, anche se non è molto quel che ora Le posso riferire, comunque sono fortemente convinto che ho trascorso 14 giorni in situazioni disumane con un "santo". Ora è il mio grande intercessore presso Dio"

Un martire non si improvvisa e il martirio non è un caso fortuito. Josef fin da giovane aveva curato la formazione culturale e religiosa. Oltre ai libri di scienze naturali e di astronomia, la sua visione cristiana del mondo si era nutrita della lettura delle opere di San Tommaso d'Aquino, di San Tommaso Moro e di Romano Guardini. Particolare impressione fecero in lui le lettere scritte dal carcere di Tommaso Moro. Questi, Gran Cancelliere del re d'Inghilterra, si era rifiutato di prestare il giuramento di fedeltà al re, per cui fu accusato di alto tradimento e giustiziato. La conoscenza di questa vicenda gli fu di indubbia ispirazione al momento di dire "No" a Hitler. Da giovane Josef era stato anche colpito dalla vicenda del gesuita messicano, Padre Miguel Pro, condannato a morte e fucilato senza alcun processo nel 1927 per il suo amore a Cristo Re.

Josef era fiero della sua identità di cattolico. Per lui il cattolicesimo non era una realtà formale, di facciata, ma la fonte della sua nobiltà di essere discepolo di Gesù e figlio della Chiesa. In un discorso egli afferma: «Vogliamo essere lievito e cercare di trasformare questo nostro mondo dal di dentro in spirito cristiano, con l'esempio e la parola».

In un articolo del 1938, commentando la testimonianza di Giovanni il Battista, Josef scriveva: «"Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce". Poche parole. Quale compito! Testimoniare la luce, annunciare Cristo al mondo. Un'impresa che richiede coraggio. Intorno a lui, buio, orecchie sorde e ciononostante doveva dare testimonianza. La testimonianza è allo stesso tempo il nostro compito e la nostra arma. Noi giovani cristiani siamo rinati a nuova vita dall'acqua e dallo Spirito Santo. Portiamo in noi la luce della verità, Cristo. Ma non portiamola timidamente per noi soli». Sono parole di una straordinaria saggezza. Ma per lui non erano solo parole. Per questo non ci sorprende, ma ci edifica, il rifiuto netto e risoluto pronunciato ad alta voce il 4 ottobre 1944. Ecco come viene narrato da un testimone oculare: «Tutto a un tratto, durante quella lezione, Peppi alzò la mano e chiese al sergente di poter dire qualcosa. Con poche ma chiare parole dichiarò che non poteva prestare il giuramento. Il sergente rimase sbalordito. Ripresosi, chiamò il comandante della compagnia, che chiese a Peppi perché non poteva pronunciare il giuramento: “Allora Lei non è nazionalsocialista al cento per cento?”. Peppi rispose sensa scomporsi: “No, infatti non lo sono”. Il comandante mantenne la calma, ma chiese a Peppi di mettere per iscritto la dichiarazione appena fatta, cosa che Peppi fece subito. Tutta la compagnia era come paralizzata e non solo io, ma molti altri ebbero la sensazione che Peppi aveva firmato la propria condanna a morte».


Josef – Peppi, come lo chiamavano gli amici – aveva una fede salda, incrollabile, abramitica. Per lui la fede era la prima condizione per la testimonianza a Cristo, una testimonianza silenziosa, vissuta quotidianamente in modo operoso e coerente a casa, al lavoro, nell'officina, nei campi. Diceva: «Quale forza emana da un giovane che semplicemente vive da cristiano. Dobbiamo essere testimoni! Proviamo, prima di diventare apostoli della parola e dell'azione, a essere dei giovani cristiani e a esserlo totalmente. Lo diventiamo alla sacra sorgente dall'altare. È lì che sentiamo la Parola di Cristo, è lì che ci nutriamo del Corpo di Cristo».

Josef durante le giornate di formazione dei giovani dirigenti cattolici aveva studiato a fondo il libro Mein Kampf, scoprendovi il sistema disumano e anticristiano del nazionalsocialismo. Le sue parole riflettevano quindi la consapevolezza di vivere in tempi di persecuzione, che richiedevano una testimonianza coerente al Vangelo con le parole e con i fatti. In una lettera alla moglie dopo il No a Hitler, Josef scrive: «L’urgenza di tale testimonianza è ormai ineluttabile, sono due mondi che si scontrano l'uno contro l'altro. I miei superiori hanno mostrato troppo chiaramente di rifiutare e odiare quanto per noi cattolici è sacro e irrinunciabile».

Il martirio è l'uccisione di un battezzato in odio alla fede cristiana. Martiri furono gli apostoli e i cristiani uccisi durante le persecuzioni dei primi secoli. Martiri sono oggi i battezzati perseguitati e uccisi in odio alla fede. Il cristianesimo è oggi odiato, avversato, perseguitato. I discepoli di Cristo rappresentano il gruppo religioso più perseguitato dei nostri tempi, in tutti i continenti: dall'Europa all'Africa, dalle Americhe all'Asia.

Il Vangelo viene deriso, i fedeli emarginati, ridicolizzata la concezione cristiana dell'uomo, della donna, del matrimonio, dei figli, della vita, della morte. È un accerchiamento di morte, che vuole soffocare la parola di Gesù.

Fortunatamente, però, ieri come oggi, non mancano i testimoni coraggiosi e franchi della fede. Il Beato Josef Mayr-Nusser è uno di essi. Egli ci ricorda il valore anche umano delle virtù cristiane. Ci invita, quindi, ad avere speranza in un mondo migliore, più umano, più riconciliato con Dio, un mondo dominato dalla carità, dalla comprensione, dalla fraternità, dalla condivisione, dalla vicinanza agli ultimi e ai diseredati.

Dal Beato Josef possiamo apprendere il coraggio di essere testimoni di Cristo e del suo vangelo, di manifestare amore per la verità e rispetto per la propria coscienza, di mantenere alto l'ideale della famiglia con l'accoglienza e l'educazione dei figli.

Per questo la straordinaria personalità di Josef arricchisce la Chiesa ma soprattutto infonde nell'umanità contemporanea la gioia della coerenza evangelica, che disintossica la società dai germi patogeni del male.

In questi ultimi anni, Benedetto XVI prima e Papa Francesco dopo, hanno spesso ripetuto che quando i cristiani si mostrano veramente lievito, luce e sale della terra, diventano anch’essi, come Gesù, oggetto di persecuzione e segno di contraddizione.

Il maso Nusser di Bolzano – la casa del Beato – diventa ora non solo una memoria del passato, ma un monumento vivo a un giovane padre di famiglia, che ebbe il coraggio di opporsi all'idolo della sua epoca, un simulacro mortale e funesto, che la storia ha sconfessato per sempre.

Il Beato Josef Mayr-Nusser ci ricorda, infine, che solo il vero Dio, creatore del cielo e della terra, è il Signore della storia e della vita e solo a lui spetta la nostra devozione e la nostra preghiera. 

Beato Josef Mayr-Nusser, prega per noi.

Mostra itinerante

Ci sono due mostre identiche con 10 panelli con informazioni sulla vita e l’attualità di Josef Mayr-Nusser.

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